La metamorfosi di Narciso

La metamorfosi di Narciso: la crisi per andare oltre lo specchio

(questo lavoro è stato presentato al Congresso della Società Italiana di Psicoterapia a Roma nel Settembre 2013 ed è stato oggetto di un seminario svoltosi presso la SSPIG di Palermo nell’Ottobre 2013)

In questo lavoro ci proponiamo di concettualizzare – secondo un modello AT psicodinamico integrato – un caso di Disturbo di Personalità Narcisistica, in cui interviene ad un certo punto un Disturbo Depressivo. Questo facilita l’accessibilità del sistema narcisistico al lavoro terapeutico e apre all’esperienza del “limite”. Le vie che bisognerà percorrere riguardano emozione, relazione ed empatia.

Dalla più tenera infanzia, ho la viziosa tendenza di considerarmi diverso dai comuni mortali. Anche questo sta per riuscirmi.(…)

Dalì è, in primo luogo e al contrario di Dio, intelligente. Dio è il creatore supremo, che ha inventato tutto. L’intelligenza è sempre il contrario della creazione. È per questo che sono un così misero pittore, e un così misero artista, sono troppo intelligente. (…)

La gelosia degli altri pittori è stata sempre il termometro del mio successo.

Salvador Dali

Introduzione

“La metamorfosi di Narciso” è un’opera di Salvador Dalì (1904-1989). In essa l’artista catalano rappresenta il momento in cui Narciso, dopo essersi a lungo specchiato, si pietrifica nell’autoerotismo mortifero e si trasforma in un oggetto inanimato: una mano marmorea che regge un uovo da cui spunta il fiore narciso.

Dalì viene descritto dai suoi contemporanei come un pittore controverso, bizzarro, con un grandioso senso di sè. A Figueres, suo paese natale, fa erigere un museo/monumento a se stesso, le cui guglie sono giganti uova che campeggiano su un castello rosso.

Utilizziamo la sua opera come metafora per esplorare il paesaggio narcisistico.

L’esperienza del Narcisista: vuoto, rabbia, svalutazione

La metamorfosi di Narciso da persona ad oggetto inanimato, ci permette di entrare nel tema della sensazione di vuoto che caratterizza l’esperienza interna del narcisista, ma anche nel tema dell’esperienza trasformativa del limite.

I pazienti con Disturbo Narcisistico di personalità spesso riferiscono di non godere di ciò che amano, di stancarsi troppo presto di relazioni, risultati positivi, eventi piacevoli e di ritrovarsi in una prosciugata solitudine. Il loro paesaggio interno è simile al quadro di Dalì : pochi oggetti vivi destinati a pietrificarsi e morire, su uno sfondo di figure inanimate e lontane, come statue o manichini. Colori freddi ed atmosfera incantata, narcotica, o depressa.

In alcuni casi questa difficoltà ad interiorizzare le esperienze piacevoli, e di saziarsi del nutrimento che le emozioni e la vita possono dare, si trasforma in una insaziabilità proclive alla dipendenza.

Così possiamo trovare dipendenze patologiche associate ad una personalità narcisistica, e nel caso che vedremo, un disturbo alimentare da “binge eating”.

Il cibo viene utilizzato come riempitivo per il senso di vuoto, come un regolatore emotivo, un elemento che soddisfa e ottunde un sistema ovattato di sensazioni interne.

Il narcisista, infatti, può perdere il contatto con le proprie sensazioni fisiche – compresa quella di fame o sazietà – e allo stesso modo non leggere i segni delle proprie emozioni, così come quelle dell’altro, nei cui confronti risulta privo di empatia.

Nel discorso del paziente narcisista, è frequente imbattersi in una modalità auto celebrativa o auto difensiva piena di irritazione. Le disattenzioni o i limiti degli altri vengono presi come atti di “lesa maestà”. “Gli altri non mi capiscono, non riconoscono il mio valore” “Sono degli ingrati”. L’irritazione deriva dalla convinzione di meritare riconoscimenti, come risposte ai propri bisogni.

Di fronte al distacco altezzoso del narcisista, il terapeuta può sentirsi escluso, disorientato, svalutato. Può sentire noia, anestesia emozionale. Il paziente non si mostra facilmente come debole e bisognoso d’aiuto. Crede che questo equivalga a sottomettersi all’altro.

La svalutazione e la critica minacciano costantemente il narcisista, che poggia la propria sicurezza sulle conferme degli altri.

Quale narcisista? Diagnosi, patogenesi, tipologie

Prima di addentraci nella specificità del caso affrontato, vediamo alcune linee teoriche esplicative.
Partendo dalla descrizione del profilo narcisistico, e passando per la patogenesi (con un modello Analitico transazionale psicodinamico integrato) arriviamo a definire e comprendere gli stati mentali sperimentati dal narcisista.

Seguendo il DSM, questi i criteri per la diagnosi: Ha un senso grandioso di importanza

E’ assorbito da fantasie illimitate di successo, potere, fascino e amore ideale

Crede di essere speciale e unico e di dover frequentare ed essere capito solo da altre persone speciali o di classe elevata

Richiede eccessiva ammirazione

Ha un senso di diritto (irragionevole aspettativa di speciali trattamenti di favore…)

Sfrutta i rapporti interpersonali

Manca di empatia: è incapace di riconoscere o identificarsi con i sentimenti e le necessità degli altri

E’ spesso invidioso degli altri, o crede che gli altri lo invidino Mostra comportamenti o atteggiamenti arroganti e presuntuosi

Le difese del narcisista sono, dunque:
la negazione (del rifiuto e dell’abbandono, attraverso il distacco)

l’onnipotenza
la mancanza di empatia (non riconosce l’Altro) lo sfruttamento interpersonale
l’ invidia e la proiezione
la svalutazione

Per ricostruire la patogenesi, facciamo ricorso ad un modello AT di tipo psicodinamico, con Novellino e Miglionico (1993) che parlano di narcisismo come “organizzazione marginale”.

L’etiologia del disturbo viene rintracciata nella fase di separazione-individuazione, ad un livello più evoluto rispetto al DBP (Disturbo Borderline di Personalità).

Nella fase di formazione del B (lo stato dell’Io Bambino, secondo l’AT), dal 14° al 24°mese, il bambino che ha cominciato ad esplorare, sperimenta la crisi di riavvicinamento, e “saggia” la tenuta della madre come base sicura. La madre sufficientemente disponibile e rispecchiante, consente al bambino di integrare G1+ e G1- (gli stati dell’Io Genitore positivo e negativo, nel Bambino) e di “costruire” il suo Stato dell’Io Bambino.

I fallimenti in questo processo di separazione individuazione determinano strutture scisse del sé nel DBP o iperelaborazioni grandiose nell’A1 nel sé narcisistico. Mentre nel borderline è impossibile integrare gli oggetti scissi, gli aspetti buoni e quelli cattivi dell’oggetto (G1+ e -), nel narcisista si realizzerebbe piuttosto una fissazione dell’oggetto buono idealizzato, senza integrazione degli aspetti negativi.

Nell’A1 (Adulto nel Bambino, il “Piccolo Professore”) il narcisista idealizza il G1+ e lo tratta come un’estensione del proprio sé. Gli altri sono oggetti sé, estensioni del sé narcisistico, non separati

Dal Piccolo Professore (A1) il narcisista idealizza il G1+ .

La mancata integrazione di G1+ e G1- e il mancato “ridimensionamento”della parte onnipotente (“magnifico professore”) non consentono il passaggio ad una sana individuazione. Come se il soggetto non potesse che concepire se stesso e gli altri come oggetti idealizzati da cui non può distaccarsi con chiarezza, pena la percezione del limite. Rinsley (1989) sostiene che il narcisista può individuarsi senza separarsi, convincendosi che ogni conquista fatta “lontano” dalla madre, sia riferita a lei. Per questo troviamo nel narcisista una capacità di autonomia concreta maggiore rispetto al borderline.

Questo sistema però è fragile ed ipersensibile alle critiche, costantemente in cerca di conferme e rispecchiamenti.

La grandiosità idealizzata rivela la sua vulnerabilità nella sensibilità alle disconferme, nella incerta autostima e nella mancanza di empatia. Ognuno di questi limiti apre le porte verso uno stato emotivo di transizione: la rabbia che conduce al vuoto e alla depressione.

Diversi Autori inoltre indicano l’esistenza di sottotipi della personalità narcisistica (Rosenfeld, Akthar e Thomson, Millon) , probabilmente perché alcuni pazienti mostrano una superficie arrogante e grandiosa, altri un senso di vulnerabilità che nasconde fantasie onnipotenti o di riscatto. Gabbard (1989) parla di tipo inconsapevole (arrogante, incurante degli altri) e di tipo ipervigile (chiuso, timido, ipersensibile).

Una visione integrata del profilo narcisistico è offerta da Dimaggio e Semerari, che parlano di diversi stati mentali sperimentati dal narcisista: grandioso, di transizione, depresso- terrifico, di vuoto devitalizzato. Nello stato grandioso, può esserci euforia e senso di forza, ma anche freddezza e distacco. È il ritratto del narcisista “vincente”, nel momento della vittoria.

Nello stato di transizione, il narcisista percepisce minacce all’autostima e si irrita, si arrabbia con gli altri. Nelle relazioni spesso si instaurano questi meccanismi “critici”. Gli altri minacciano la sua autostima, l’ idealizzazione di sè, non adeguandosi ai suoi “criteri”, non compiacendolo, o peggio, criticandolo. Si può avere diffusa irritazione o rabbia intensa ed esplicita.

Nello stato depresso-terrifico, con il fallimento, la sconfitta e l’autosvalutazione, si attivano vergogna, paura, tristezza. Spesso è la reazione ad un forte evento di sconfitta che disconferma l’autostima del narcisista. E non è più sufficiente spiegarlo solo con l’inettitudine degli altri. Si realizza il più grande timore del narcisista, lo svelamento del suo scarso valore.

Nello stato di vuoto devitalizzato c’è distacco, freddezza, insensibilità interna ed esterna. Si potrebbe descrivere come un perenne stato di difesa dalla sconfitta, pena l’assenza di emozioni e relazioni autentiche.

La persona può sperimentare ciclicamente tutti o parte di questi stati, anche se per molto tempo fa esperienza dello stato di transizione. Spesso lo porta anche in seduta, nel tentativo di riaffermare, con il fastidio e la rabbia, ciò che gli altri non vedono: la sua grandezza, nella speranza di spingere anche il terapeuta a vederla e a rimandarla come conferma.

In molti casi, però, il narcisista arriva in terapia per una depressione.

Quando il narcisista si deprime…

Nel quadro clinico del paziente narcisistico spesso ad un certo punto appare la depressione. Di fronte alla vecchiaia, al limite, al fallimento di un progetto, la persona che ha investito tutto sulla vittoria ed il successo, può soccombere e precipitare in una depressione difficile da superare. È noto, infatti, che le depressioni nelle personalità narcisistiche sono più difficili da trattare e risolvere poiché sono strettamente connaturate ad un sistema di personalità che funziona sulle categorie del trionfo e del fallimento, della vergogna o dell’invidia, e perciò poco permeabile agli affetti positivi delle relazioni.

In questo nostro lavoro tuttavia, ci fermiamo nel cogliere la valenza trasformativa – di metamorfosi, appunto – della depressione sul paziente narcisista. Ernesto, una persona “vincente”, abituata a vivere disponendo di un’ampia quantità di denaro (e di cibo, come nel caso di questo paziente), viaggiando per il mondo ed esibendo i suoi status-symbol, si confronta brutalmente con la realtà della crisi economica e si deprime.

L’esperienza del limite e della depressione, utilizzata in terapia per riflettere sui meccanismi narcisistici del vuoto e della mancanza di empatia relazionale, porta ad alcune aperture.

Quando, nel confronto con la realtà, con i limiti che essa impone, il narcisista si imbatte nella frustrazione, la distanza tra l’immagine di sé e la realtà può portare alla “sensazione di essere un bluff” (Millon, 1999). Si può scatenare, internamente, un intenso processo di autosvalutazione, fino alla disorganizzazione e alla dissociazione. La vergogna corrisponde al senso di sconfitta e di umiliazione che ne deriva: tutti a questo punto possono vedere la fragilità a lungo nascosta. Si può avere un senso esagerato delle proprie responsabilità nel fallimento, ma può diventare più facile in terapia lavorare sulle fantasie narcisistiche in crisi, sul senso di fragilità con cui il paziente entra in contatto, divenendo più disponibile.

È molto importante che in terapia venga smentita l’aspettativa del paziente di essere giudicato/condannato per il suo fallimento, con il rischio di ripetere il suo giro interno di svalutazione.

Il caso clinico

Ernesto, imprenditore 40enne di successo, entra in terapia su “spinta” della moglie e della psicoterapeuta di lei. Chiede di voler capire come fare a “trattare” la moglie che sta male e poi aggiunge che nel lavoro la sua ansia e la sua irritazione diventano “eccessivi” anche se “giustificati”. Si rende conto di risultare spesso irritante verso gli interlocutori al lavoro, ma li definisce come “incapaci”.

La definizione del contratto richiede un attento lavoro per riportare la focalizzazione su di sé

Emergono le sue difficoltà nel gestire la relazione con il padre, fondatore dell’azienda e “giudice”(interno ed esterno) dell’operato di Ernesto.

Emerge un dato che Ernesto nega ma inevitabilmente porta in seduta: è obeso perché ha un disturbo alimentare da “binge eating” che causa una forma di diabete funzionale.

Inoltre, dopo alcuni mesi dall’inizio della terapia, la sua azienda affronta le gravi conseguenze della crisi economica, ed Ernesto si ritrova ad abbandonare i suoi viaggi intercontinentali e a dedicarsi a “rattoppare le buche” per “non affondare”.

Si presentano dunque i sintomi della Depressione (con senso di fallimento e di colpa) e si apre in terapia un nuovo orizzonte di lavoro

Diagnosi secondo il DSM 5
Disturbo Depressivo Maggiore con ansia,

Disturbo da “binge eating”
Disturbo Narcisistico di Personalità
Sul piano medico riscontriamo: Obesità, Sintomi di Diabete Alimentare

Il contratto terapeutico prevede:
• Affrontare e risolvere il conflitto nel rapporto con la moglie con un atteggiamento costruttivo, di ascolto.
• Aumentare l’autostima e acquisire sicurezza nel lavoro
• Fare la dieta e dimagrire cambiando il rapporto con il cibo

Durante il primo periodo della terapia si rivela utile costruire una salda alleanza, accogliendo il bisogno di riconoscimento del paziente, ipersensibile verso i segnali di disconferma. Risulta già un’operazione delicata quella di passare dalla richiesta iniziale di fare da co-terapeuta della moglie per “correggerla”, all’obiettivo di affrontare il conflitto con lei usando l’ascolto.

In realtà l’esercizio dell’empatia verso la moglie risulterà di fondamentale importanza per modificare l’atteggiamento di Ernesto. L’abbassamento del livello di conflitto funzionerà poi da volano per lavorare sull’ansia e sul rapporto col cibo.

A livello relazionale, in un linguaggio Analitico-Transazionale, il paziente, dallo Stato dell’Io Bambino afferma i suoi bisogni e controlla l’altro attraverso la rabbia, pretendendo riconoscimento ed ammirazione. Dal suo Genitore, tuttavia, disconferma e biasima, svaluta e attacca sé e l’altro con cui entra in relazione quando questo minaccia la sua autostima.

A questo punto introduciamo uno stralcio di seduta per mostrare un momento in cui Ernesto, passando da uno Stato dell’Io ad un altro, può incrementare la sua empatia verso la moglie.

Focus su un segmento clinico

La moglie saluta distrattamente E. quando lui torna a casa. Nel tavolo di Ernesto c’è disordine. Ci sono oggetti della moglie “buttati alla rinfusa”. Ernesto pensa “ecco, proprio quello che non voglio. Lei lo sa e me lo fa apposta! E poi mi saluta senza farmi festa, come se non fossi nessuno!”

Vediamo il trascritto della seduta (E =Ernesto, T= terapeuta):

E “Io lavoro tutto il giorno e lei non riesce a tenere in ordine il mio tavolo! E’ l’unica cosa a cui tengo, e lei lo sa! Non credo che non abbia il tempo, non è possibile! Io faccio un milione di cose più di lei….” (visibilmente infastidito, a tratti arrabbiato, ma con un’aria abbattuta dipinta sul viso)

T “Beh, certo, questo tavolo dev’essere proprio importante per lei! Visto cosa ha scatenato..! E poi cosa c’era sopra?”

E (visibilmente sorpreso, disorientato) “Ah… ci sono i suoi farmaci..”
T “Quelli per la malattia di sua moglie?”
E “Ehm… si,.. li vuole tenere lontani dai bambini…” (cambia espressione, sembra abbattuto) T “Ma come si sente adesso?”
E “Infastidito.. stanco..”
T “E poi? Sento anche altro, adesso, nella sua voce e nella sua espressione”
E “…giù, scoraggiato..”
T “come… triste?”
E“Si”
T “Di cosa?”

E “Vorrei che mia moglie capisse i miei bisogni! Che se ne prendesse cura… sono solo…. Ma in realtà anche lei sta male… i farmaci…”

Questo piccolo estratto mostra un passaggio che è stato necessario ripetere in tante sedute, per vari contesti e in vari modi. Ma la strategia di base può essere rintracciata anche in questo segmento.

Ernesto racconta uno dei tanti episodi in cui si irrita per un comportamento della moglie che considera poco rispettoso verso i suoi bisogni. Tuttavia la rabbia è solo l’emozione di superficie. Il terapeuta non empatizza con la rabbia di E. Viene spostata piuttosto l’attenzione sull’emozione sottostante e sul non verbale. Parlare in termini concreti del “tavolo” ridimensiona il problema, e il riferimento ai farmaci favorisce il decentramento e apre la strada all’empatia verso la moglie. L’apertura sul bisogno di attenzione permette ad Ernesto di focalizzarsi su di sè

Gli interventi in direzione dell’Adulto e del Bambino del paziente hanno lo scopo di “depotenziare” l’autosvalutazione (dal G)

Allo stesso modo, la concretezza e la focalizzazione sulle emozioni “sotto la superficie” offrono ad E. elementi per passare ad un livello interpretativo diverso, ad un’altra visione dell’episodio: lui poteva essere triste oltre che arrabbiato, e la moglie poteva essere sofferente, non solo indifferente.

Questa diversa visione favorisce l’accesso ad un livello metacognitivo, ad un diverso modello della “mente dell’altro”.

Sul piano della relazione, sperimentare apertura ed autorivelazione consente ad Ernesto di “imparare a guardarsi” e fare esperienza di comprensione senza svalutazione da parte del terapeuta

A questo punto della terapia, una posizione complementare – che all’inizio è stata utile per creare l’alleanza- si potrebbe rivelare non efficace, e bloccare il lavoro. La compassione per il “fallimento“ (dal GA- del T) rischierebbe di confermare il paziente nella sua scarsa autostima e nella profonda convinzione del Bambino di non avere valore.

D’altra parte, la critica senza il supporto dell’empatia (dal GN del T) verso i bisogni profondi del paziente, rischierebbe di attivare lo schema di autosvalutazione ed autocritica.

Nel segmento del lavoro terapeutico che abbiamo analizzato, emerge come sia centrale, nel trattamento del narcisista, il focus sulle emozioni e sulla/nella relazione.

Comprendere la funzione della rabbia nel paziente narcisista, permette di dirigere la strategia terapeutica verso il contatto con le altre emozioni per affinare la capacità di contatto profondo e “combattere” così il vuoto narcisistico.

Secondo Novellino (1998) “l’interpretazione – per molto tempo e sino a che non si siano modificate le difese – non va modulata sulle motivazioni inconsce ma sulla realtà relazionale, non è genetico-dinamica come quella classica (berniana) che riconnette al qui- ed-ora il li-ed-allora ma aiuta a decodificare il qui-ed-ora della relazione analitica o extra- analitica (riferita).” (…)“Kernberg sottolinea la dimensione di comprensione cognitiva e aiuta il cliente a comprendere il proprio contributo nelle problematiche relazionali” (p.262- 263 ibidem).

Focalizzarsi dunque sulle relazioni e sulle emozioni permette un aumento dell’empatia e delle capacità meta-cognitive in generale e consente di aumentare le abilità relazionali, la comprensione e l’autostima della persona.

Ernesto affina la propria capacità di cogliere i segnali interni, tradurli in emozioni e accorgersi delle complesse sfumature che stanno dietro la “solita” rabbia.

Gradualmente, il quadro clinico di Ernesto migliora. Si mette a dieta e cambia il suo rapporto col cibo. Ritrova maggiore comunicazione e armonia nel rapporto con la moglie.

Affronta con energia costruttiva le difficoltà dell’azienda. Chiede e riceve aiuto laddove prima si relegava in una autosufficienza rigida ed orgogliosa.

Molto spesso, la difficoltà maggiore nel rapporto con il paziente narcisista è proprio la

scarsa capacità meta cognitiva, insieme agli intensi sentimenti transferali e controtransferali che sovente si attivano.

Nota su transfert e controtransfert

Gli interventi di confronto, interrogazione “critica” ed accompagnamento verso un atteggiamento più empatico ed emotivamente competente sono opportuni – con il paziente narcisista – solo dopo aver realizzato un alto livello di alleanza.

Con Ernesto è stato possibile solo dopo una lunga fase “empatica” in cui il transfert era spesso idealizzante, e a tratti svalutante. Gli interventi che andavano empaticamente nella direzione dei suoi bisogni del momento venivano accettati con illuminata ammirazione, ma altri interventi – compresi quelli per “correggere” possibili manipolazioni del setting (spostamenti, ritardi etc…) – venivano vissuti con delusione e svalutazione del terapeuta.

Il vissuto controtransferale era inizialmente quello di non esistere nella relazione, e non potere incidere oltre il ruolo di “cassa di risonanza” del sé del paziente, in una non definizione dei confini.

Il terapeuta può essere relegato al ruolo di G+ (specchio positivo idealizzante), parte del sé “fissata” nell’esperienza emotiva del paziente. Ciò può creare nel terapeuta noia, ostilità, senso di esclusione.

Con un narcisista ipervigile può emergere anche il senso di “essere controllato” dall’altro o costretto in ogni momento alla massima attenzione. La consapevolezza di sé del terapeuta, con una sufficiente elaborazione dei propri aspetti narcisistici, è necessaria per procedere nel lavoro.

E’ molto importante, nell’evoluzione della terapia, giungere ad elaborare sentimenti negativi del transfert (invidia, aggressività…) fuori dall’assetto competitivo della relazione (vincente/perdente) ma dentro una sana alleanza aperta al riconoscimento dei limiti (del paziente, del terapeuta e della terapia).

Conclusioni

In questo breve racconto clinico, l’approccio psicodinamico di AT ha funzionato come guida per la comprensione del lavoro. La visione interpersonale dell’Analisi Transazionale può essere uno strumento strategicamente efficace per lavorare sul deficit di empatia e sul vuoto narcisistico.

L’AT permette inoltre di integrare e tradurre in termini operativi concetti transteorici utili nella terapia, come quello di lavoro sulle emozioni, interventi di empatia avanzata, deficit metacognitivi e cicli interpersonali disfunzionali.

Tuttavia – come ricorda Novellino (1989) –“le tecniche classiche di Analisi Transazionale basate sul modello tripartito non risultano efficaci nelle patologie preedipiche di tipo marginale” come il narcisismo, e ciò perché non è raggiunta una completa costanza dell’oggetto. Le iperelaborazioni grandiose del Piccolo Professore (A1) nel sé narcisistico e la considerazione degli altri come estensione del proprio sé denotano proprio questa mancanza di chiari confini.

In questo senso abbiamo trovato utile integrare all’approccio psicodinamico di AT elementi provenienti dall’approccio cognitivo-costruttivista che offre strumenti efficaci e coerenti per comprendere gli stati mentali del narcisista e per lavorare su consapevolezza ed empatia (metacognizione) .

Il lavoro terapeutico con i narcisisti viene considerato tra i più difficili. In effetti, gli stati di euforia ed esaltazione sono poco “permeabili” agli interventi del terapeuta. Nel caso di Ernesto, dopo un lungo periodo di “impermeabilità” è stato possibile cominciare un lavoro sulle relazioni, l’empatia e l’autostima proprio quando è intervenuta la depressione.

Come nel paesaggio narcisistico offerto dal quadro di Dalì, dunque, utilizzando la depressione e la crisi come occasione di metamorfosi, si può immaginare un viaggio verso le emozioni autentiche e il vero sè, e verso l’accettazione del limite.

Questo viaggio è ancora in corso con Ernesto, e non è privo di difficoltà ed arresti, tuttavia procede e conduce a scoprire nuovi paesaggi

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